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Riportiamo, di seguito, l’articolo del Direttore di Federcasse, Sergio Gatti, pubblicato nella rubrica Bisbetica della rivista Credito Cooperativo di Gennaio 2016.
LE CICATRICI D’INIZIO ANNO
di Sergio Gatti - sgatti@federcasse.bcc.it
Tra il 10 e il 14 gennaio, due importanti quotidiani nazionali hanno pubblicato dati e tabelle non aggiornati e/o parziali e/o funzionali a dimostrare una tesi: quella della maggiore rischiosità di un numero più o meno rilevante di BCC-CR. Federcasse ha reagito prontamente, interviste e articoli sono stati pubblicati sui medesimi quotidiani il giorno o i giorni successivi. Ma la cicatrice resta. Mettiamo qualche puntino sulle “i”.
1. La rischiosità delle banche locali? Identica, forse minore delle altre.
Tutta l’industria bancaria italiana viene oggi percepita fuori dai confini come “rischiosa” per due ragioni strutturali: l’elevato debito pubblico (e le banche italiane non possono non sottoscrivere titoli di Stato) e l’elevato volume di sofferenze. Sono due condizioni che non dipendono dalle banche. La prima è di lungo periodo, la seconda è congiunturale: occorreva intervenire con una scelta di politica economica per agevolare l’estrazione delle sofferenze dai bilanci bancari entro il 2013, quando l’Unione Bancaria non c’era e la DG Concorrenza non aveva ancora emanato una Comunicazione (la 2013/C 216/01 del 31 luglio 2013) che ha reso più complicato fare ciò che fino a quel momento si era potuto fare da parte dei Governi degli altri principali paesi a favore delle proprie banche (dal 2008 al 2014, la somma degli interventi degli altri Stati membri approvati dalla Commissione, incluse le garanzie, è di 5.762 miliardi di euro. Quelli realmente utilizzati più della metà).
In questo quadro oggettivo, le banche locali non sono in quanto tali più rischiose delle altre. L’andamento di Borsa degli ultimi giorni di gennaio e dei primi di febbraio mi pare che abbia riguardato diverse dimensioni di banche italiane in forma di spa, purtroppo. Se poi guardiamo alle BCC, esse presentano un CET1 medio del 16,2% (contro il 12% medio delle altre banche), appartengono ad una rete che ha strumenti obbligatori e volontari che hanno sempre consentito di prevenire e in taluni casi di trovare soluzioni senza danno alcuno per i clienti.
La solidità patrimoniale delle BCC è stata poi costruita anno dopo anno tutta sulle proprie forze. Nonostante esse abbiano continuato a erogare credito (in molti hanno dimenticato quei lunghi anni recenti in cui tutti invocavano che bisognava farlo, con casi di cronaca drammatica), il patrimonio delle BCC è cresciuto dal 2008 al 2015 (anni di profonda recessione) del 15%, passando da 17,3 miliardi a 20,5 miliardi. Come è cresciuto? Destinando a riserve indivisibili l’85-90% degli utili (come sappiamo, la norma prevede che almeno il 70% vada a riserva indivisibile), operando in alcuni casi aumenti di capitale (il valore medio delle azioni del singolo socio BCC è di 994 euro) e senza poter contare su nemmeno un centesimo della rivalutazione del valore delle azioni della Banca d’Italia che a inizio 2014 ha consentito ad alcune banche italiane di accrescere per via normativa il proprio patrimonio.
Dunque, la rappresentazione della rischiosità delle banche locali. Intanto non dimentichiamo che le BCC sono banche di “credito” per natura, per norma e anche per ragione sociale. Esistono per raccogliere risparmio nei territori, remunerarlo e investirlo nell’economia reale di quei territori, erogando credito prevalentemente ai soci.
In secondo luogo, una troppo spesso mal richiamata indagine ha evidenziato, sui bilanci 2014, un piccolo gruppo di BCC-CR con sofferenze sopra il 20%. Diciamo una volta per tutte che la media dell’incidenza dei deteriorati sugli impieghi nell’industria bancaria italiana è esattamente circa del 20%. Scegliere questa soglia come “critica” significa dire che l’industria bancaria italiana è tutta a rischio. Se poi non si precisa il tasso di copertura e il livello di patrimonio (e la composizione dei deteriorati) il dato può essere fuorviante.
Torno a quell’indagine - purtroppo scorrettamente esposta anche su qualche vetrina di banche concorrenti e “linkata” in qualche newsletter di promotore finanziario la cui casa madre vanta indici di solidità di poco superiori a quello medio delle BCC pur investendo solo il 45% della raccolta all’economia reale - che ha dimenticato, per quelle 37 BCC e CR, di:
• precisare che il dato 2014 andrebbe aggiornato con quanto avvenuto nel 2015;
• indicare il dato della solidità patrimoniale,
• evidenziare che nel 2015 otto di quelle banche sono state oggetto di aggregazione con altre BCC,
• nove si aggregheranno nei prossimi cinque mesi,
•alcune hanno ceduto porzioni significative di sofferenze,
• altre si sono fatte carico di incorporare BCC con qualche difficoltà e hanno per questo visto peggiorare i propri indicatori (contribuendo a salvare posti di lavoro e coesione sociale);
• per tutte le altre comunque ci sono programmi autonomi di irrobustimento patrimoniale o percorsi di messa in sicurezza a cura del sistema.
Insomma, identificare l’elevato indice di sofferenze come indicatore secco di rischiosità è davvero improprio, scorretto e pericoloso. Come dire che tutti quelli che hanno 38 di febbre, rischiano di morire. Non mi pare sia così.
2. Ricordiamolo: le banche locali giocano un ruolo vitale secondo supervisori ed economisti.
Salvatore Rossi, dg Banca d’Italia, ha ricordato nel febbraio 2015 come le banche che mantengono un legame con il territorio abbiano un punto di forza fondamentale: il contatto diretto con la clientela di riferimento (relationship lending) che genera vantaggi informativi nella selezione del merito di credito e riduce la rischiosità dei prestiti. Attenzione: “riduce”. Banche piccole con operatività locale dispongono di informazioni anche qualitative che hanno reso più efficaci, negli ultimi sette anni, le politiche di erogazione del credito attutendo le conseguenze della diminuzione dell’offerta di credito da parte delle banche maggiori.
Ancora, Joseph Stiglitz, Nobel economia 2001: la capacità della banca locale di fare screening e monitoring efficaci dipende in modo cruciale dalla sua abilità di instaurare e coltivare relazioni di clientela intense e durature. Giovanni Ferri, pro-rettore Lumsa, ex Banca Mondiale: le “banche relazionali” sono essenziali per ridurre il razionamento del credito e l’esclusione finanziaria. Ciò vale specialmente per le famiglie e le piccole imprese, i soggetti maggiormente esposti a tale rischio. Le “banche relazionali” hanno svolto un prezioso ruolo anticiclico – questo lo si è dimenticato - e l’incidenza delle sofferenze in media sulla clientela tipica è inferiore per le BCC rispetto al resto dell’industria bancaria (una prova numerica: il rapporto sofferenze su impieghi a giugno 2015 per le famiglie produttrici, cioè le microimprese, era 10,6% per le BCC e 16,9% per l’industria bancaria; per le famiglie consumatrici 5,9% per le BCC contro il 7,1% dell’industria. Si veda il Bilancio di coerenza del Credito Cooperativo 2015).
3. Sofferenze ben coperte. Anche i bilanci 2015 sono “bilanci di guerra”, la coda della crisi non è stata recisa.
Ma le sofferenze delle BCC sono ben coperte. Il tasso di copertura dei crediti anomali complessivi era a giugno 2015 del 38,9% per le BCC-CR (44,7% per l’industria bancaria); quello delle sole sofferenze del 54,2% per le BCCCR (58,7% per l’industria bancaria). Per le BCC-CR e, più in generale, per tutte le banche minori, i tassi di copertura sono inferiori alla media dell’industria bancaria, in ragione della quota più ampia di prestiti assistiti da garanzie.
Analisi condotte dalla Banca d’Italia indicano che per le banche minori le eccedenze di capitale rispetto ai minimi regolamentari compensano ampiamente il meno elevato livello di copertura dei crediti deteriorati. L’incidenza di crediti assistiti da garanzie è significativamente più elevata nelle BCC-CR rispetto alla media di sistema, con riguardo sia alle esposizioni in bonis sia a quelle deteriorate. L’incidenza dei crediti garantiti sul totale delle erogazioni lorde delle BCCCR è pari a giugno 2015 al 78,6% del totale a fronte del 66,5% rilevato nella media di sistema (Rapporto sulla stabilità finanziaria novembre 2015). Il 59,6% dei crediti BCC risulta assistito da garanzie reali.
4. Meccanismi di prevenzione preziosi.
Le BCC si sono date da tanti anni strumenti volontari per prevenire e risolvere le crisi e hanno voluto caratterizzare il fondo obbligatorio (l’FGD, a protezione dei depositanti) come uno strumento di intervento precoce. Le 4 banche portate a risoluzione, nessuna delle quali è una BCC, non hanno potuto contare su strumenti analoghi e abbiamo visto le conseguenze. Le BCC hanno contribuito con 225 milioni alla risoluzione, ritrovandosi nei territori 4 banche ripulite fortemente aggressive. Ora vengono poste in vendita. Troppo in fretta? A beneficio di chi?
Le BCC hanno sempre trovato soluzioni a commissariamenti con risorse proprie, senza disordini nei territori, rimborsando anche i subordinatisti. Con la riforma che verrà, tale capacità di prevenzione e superamento delle difficoltà sarà ancora più forte. Le BCC hanno fortemente voluto e ottenuto di scrivere insieme al legislatore la propria riforma. Un percorso di elaborazione normativa originale, un percorso di gestione realizzativa unitario. Se ne avvantaggeranno i soci, i clienti, le comunità locali. Gli svantaggi della banca mutualistica diminuiranno, i vantaggi si consolideranno. Restano le cicatrici. Talvolta corroborano gli organismi.